mercoledì 31 luglio 2013

ACQUA E FAGIOLI. LA RICETTA DI PAPA FRANCESCO


L'uomo è così inarrestabile che, c'è da giurarci, da qualche parte del mondo c'è un Golgota e una Croce che gli stanno preparando: è una logica dalla quale non fu esente nemmeno Cristo che, anzi, ne fu il capostipite. Non per questo papa Francesco deciderà di fermarsi: a chi è avvinto dall'amore di Cristo - “l'amore di Cristo ci spinge”san Paolo - le graticole fumanti e i supplizi dei patiboli altro non sono che la gioiosa occasione di testimoniare al mondo dove conduca la follia dell'Amore. E' bastato poco più della sua presenza per stregare il cuore dei giovani: essi – gente dal palato fine in tema di contraffazioni – hanno scorto in lui l'uomo che addita ai grandi ideali senza per questo offrire facili scorciatoie: “sei protagonista della salita – ha ricordato Francesco ai ragazzi che sono stati vittima della droga – e nessuno può farla al posto tuo”. Li inchioda alle proprie responsabilità, non offre loro il facile guadagno dei pensieri comuni, li spinge e li costringe a cercare il meglio di loro stessi e in loro stessi; loro intuiscono la sua pedagogia di padre e di maestro, forse non condividono proprio tutto, ma sentono nel cuore che quelle parole – impreziosite da una voce che sale dai bassifondi della società – sono dure da contrastare e da smantellare. Forse aveva proprio ragione Pietro quando, libero di andarsene dalla sequela del Maestro, fu costretto a dirGli la verità: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Che è come dire: “dopo che ti ho conosciuto, scelgo te che sei la gioia. Non posso più accontentarmi delle piccole gioie”. Troppi dicono che oggi i giovani non hanno più voglia di sognare: Francesco, invece che lamentarsi, tende loro la mano e ad ognuno è come se dicesse “coraggio, puoi farcela!”. Con l'accredito d'infondere in loro quella passione della vita che è il biglietto da visita del Vangelo.
Conquista i giovani ed infastidisce gli adulti, vescovi compresi (“che brutta cosa un vescovo triste” - ha confidato ai giovani l'altra sera). Li infastidisce con eleganza, con quell'appeal amabile e sorridente di chi avverte di non aver rubato il posto a nessuno, ma di essere andato ad abitare spazi che il mondo adulto ha abbandonato. Infastidisce, forse, anche un certo modo di essere Chiesa: critica quella fede che è come un “frullato”, quei cristiani con le facce funebri, quel sorriso forzato tipico di chi immagina di avere un posto prenotato in Paradiso. Più che le parole a infastidire sono i suoi gesti: eclatanti perchè inediti, imbarazzanti perchè veri, tuonanti perchè silenziosi. Ad una Chiesa rattrappita nelle sacrestie getta addosso l'odore del gregge; ad una parrocchia chiusa in se stessa e nei suoi bans attacca addosso l'immagine faticosa della periferia; ad un cristianesimo abituato e sonnolento grida nelle orecchie “bota fè” (“metti la fede”). Ai salamelecchi di corte – o di sagrato – preferisce l'odore del crack addensato nella pelle dei giovani tossicodipendenti, alle vesti filettate preferisce di gran lunga le pelli sgualcite dei detenuti malmenati, al lusso degli episcopi ama di gran lunga la nuda povertà di una baracca della favela di Varginha. Alla teologia dei dotti – che rimane “dei dotti” e basta – ama il linguaggio semplice di chi, per spiegare l'ospitalità evangelica, dice: “si può sempre aggiungere acqua ai fagioli”. Un Papa fastidioso perchè di Dio.
Scrutavo l'imbarazzo nel volto di tanti vescovi in questi giorni; m'incuriosiva la stizza (ovviamente celata) di qualche prete; m'appassionava il commento di una certa chiesa. Su tutto, però, a stregarmi è lo stile di Francesco; di quell'uomo strappato alla “fine del mondo” per governare il mondo con lo stile di Dio. Fine della vecchia cristianità? Sicuramente di un certo cristianesimo.

(da
Il Mattino di Padova, 28 luglio 2013)

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