sabato 2 novembre 2013

CHIEDIMI COME SONO FELICE ...


Le nove beatitudini: la carta di identità del cristiano.

Esse riaccendono la nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà, di sincerità, di solidarietà. Disegnano un modo tutto diverso di essere uomini, amici dell’uomo e al tempo stesso amici di Dio, che amano il cielo e che si prendono cura della terra. Ci delineano i tratti di una santità capace di affascinarci: sedotti dall’eterno eppure innamorati di questo tempo difficile e confuso. Questi sono i santi!

Beati i miti perché erediteranno la terra: soltanto chi ha il cuore in pace garantisce il futuro della terra. Dovunque - nelle nostre famiglie, nelle comunità, nella società - possiamo vedere che solo chi ha il cuore più limpido indica la strada, chi ha molto pianto vede più lontano, chi è più misericordioso aiuta tutti a ricominciare.?Così Dio interviene nella storia. Ma come interviene??Lo fa attraverso i suoi amici; attraverso il popolo delle beatitudini. Il Vangelo ci presenta nelle beatitudini la regola della santità; non evocano cose straordinarie, ma vicende di tutti i giorni, trama di situazioni comuni, fatiche, speranze, lacrime. Nel suo elenco ci siamo tutti: i poveri, i piangenti, gli incompresi, quelli dagli occhi puri. E c'è perfino la santità delle lacrime, di coloro che molto hanno pianto, che sono il tesoro di Dio.?Le beatitudini compongono nove tratti di due volti: il volto di Cristo e il volto dell’uomo. Fra quelle nove parole ce n’è una proclamata e scritta per me e per te che dobbiamo individuare e realizzare,. Una parola che ha in sé la forza di farmi più uomo e racchiude la mia felicità. Su di essa sono chiamato a fare il mio percorso per un mondo che ha bisogno di esempi raccontabili, di storie del bene, di cuori puri e liberi che si occupino della felicità di qualcuno. E Dio si occuperà della loro: “Beati voi! Felici!”.

martedì 17 settembre 2013

IL NOSTRO DIO E' DIFFERENTE

Si perde una moneta, una pecora, un figlio. Si direbbero quasi delle sconfitte di Dio. E invece no perché l’amore vince proprio perdendosi dietro a chi si era perduto. Il Dio che emerge da queste parabole è un Dio che và dietro a uno solo. Uno solo è sufficiente a mettere Dio in cammino.?
Un uomo aveva due figli. ?Un inizio semplicissimo, favoloso, che apre una delle parabole più belle. Nessuna pagina raggiunge come questa il centro del nostro cuore, nessuna sa farci comprendere in modo così mirabile la grandezza del cuore di Dio. Un Dio differente da quello dei Farisei e diverso dall’immagine che ci portiamo nel cuore: un Padre che non vuole una casa abitata da figli servi, obbedienti ma scontenti, ma da figli liberi e gioiosi.
Due figli entrambi insoddisfatti, forse perché si credono servi. ?Il più giovane se ne va, un giorno, in cerca di felicità. Il Padre non si oppone? Ma la storia ha una svolta drammatica: il figlio si trova a pascolare i porci. Il libero ribelle è diventato servo e affamato. Affamato di pane e di altro perché l’uomo nasce con il cuore malato di cose grandi e le piccole non saziano. ?E si mette in cammino per ricevere l’abbraccio del Padre.
Il fratello maggiore torna dai campi ed entra in crisi: “io ti ho sempre servito, e tu non mi hai dato neanche un capretto”. Ha misurato tutto sulla contabilità del dare e dell’avere, come un salariato. Ti servo. Il figlio maggiore confessa tutta la sua meschinità. Chi si sente giusto mette in mostra i suoi meriti, è anche un tremendo calcolatore. La misericordia di Dio è quasi impossibile da comprendere, ma è un fatto reale. Il padre calma l’ira del fratello e lo fa ragionare; tutto ciò che il padre possiede lo possiede per darlo ai figli. Tutto!
Avrà capito? ?
Padre, anche io non sono degno, ma mi prendo lo stesso il tuo abbraccio. Sono tuo figlio. Grazie di essere Padre a questo modo, un modo davvero divino.

venerdì 23 agosto 2013

LA PORTA SPALANCATA


Sono pochi quelli che si salvano, o molti?

Gesù non risponde sul numero dei salvati ma sulle modalità. Dice: la porta è stretta, ma non perché ami gli sforzi, le fatiche, i sacrifici. Stretta perché è la misura del bambino: “Se non sarete come bambini non entrerete!”. Se la porta è piccola, per passare devo farmi piccolo anch’io. I bambini passano senza fatica alcuna.?

L’insegnamento è chiaro: fatti piccolo, e la porta si farà grande; lascia giù tutti i tuoi bagagli, i portafogli gonfi, l’elenco dei meriti, la tua bravura, sgònfiati di presunzione, dal crederti buono e giusto, e dalla paura di Dio, del suo giudizio.?La porta è stretta ma aperta.

È un mondo più bello, più umano, dove ci sono costruttori di pace, uomini dal cuore puro, onesti sempre, e allora la vita di tutti è più bella, più piena, più gioiosa se vissuta secondo il vangelo.?È aperta e sufficiente per tanti, tantissimi, infatti la grande sala è piena, vengono da oriente e da occidente e sono folla e entrano, non sono migliori di noi o più umili, non hanno più meriti di noi, non è questo.

Più Dio equivale a più io.?La porta è stretta ma bella, infatti l’attraversano rumori di festa, una sala colma, un mondo dove gli uomini sono finalmente diventati fratelli, senza divisioni.??

La porta da aperta, poi, si fa’ chiusa e una voce dura dice: “Voi, non so di dove siete”. Sono come stranieri, eppure avevano seguito la legge, erano andati in chiesa... Tutti abbiamo sentito con dolore questa accusa:??vanno in chiesa e fuori sono peggio degli altri... Può accadere, se vado in chiesa ma non accolgo Dio dentro. Dio che entra e mi trasforma, mi cambia pensieri, emozioni, parole, gesti. Mi dà i suoi occhi, e un pezzo del suo cuore. E li cercherà in me nell’ultimo giorno. E, trovandoli, spalancherà la porta.

lunedì 5 agosto 2013

IL MERCATO DEL DESIDERIO


Il Vangelo della XVIII domenica del tempo ordinario, 6 agosto, inizia con un particolare: un uomo ricco e solo. Un uomo ricco ha avuto un raccolto abbondante.? Solo: perchè non c’è nessuno attorno a quest’uomo. Ricco e al centro di un deserto perchè la ricchezza crea un deserto di relazioni autentiche. C’è un aggettivo che questo uomo ripete molte volte in questa pagina: “mio”: i miei raccolti, i miei magazzini, i miei beni, l’anima mia.?Vivere così è un lento morire perchè di sole cose l’uomo muore. Infatti: “Stolto, questa notte morirai”.?Stolto, dice Gesù, non perché cattivo, ma perché poco intelligente. Ha investito sul prodotto sbagliato, sul denaro e non sull’amore. Vuoi vita piena, felicità vera? Non andare al mercato delle cose. Le cose promettono ciò che non possono mantenere. Sposta il tuo desiderio su altro, desidera dell’altro.

La vita di ciascuno di noi dipende da tre cose: dalla tua vita interiore, dalle persone accanto a te, da una sorgente che non è in te ma in Dio. E queste tre cose devono essere innestate tra loro. Allora sei vivo.?

Si racconta che un giorno arriva nella cella di un Monaco un visitatore. Conversando gli domanda: come mai hai così poche cose nella tua cella? Un letto, un tavolo, una sedia, una lampada. Il monaco replica: e tu come mai hai solo una sacca con te? Ma perché io sono in viaggio, risponde il visitatore. E il monaco: anch’io sono in viaggio.

Nel viaggio della nostra vita siamo chiamati ad avere uno sguardo profondo all’essenziale per cogliere la verità e la bellezza delle cose. Di tutte le cose.

mercoledì 31 luglio 2013

ACQUA E FAGIOLI. LA RICETTA DI PAPA FRANCESCO


L'uomo è così inarrestabile che, c'è da giurarci, da qualche parte del mondo c'è un Golgota e una Croce che gli stanno preparando: è una logica dalla quale non fu esente nemmeno Cristo che, anzi, ne fu il capostipite. Non per questo papa Francesco deciderà di fermarsi: a chi è avvinto dall'amore di Cristo - “l'amore di Cristo ci spinge”san Paolo - le graticole fumanti e i supplizi dei patiboli altro non sono che la gioiosa occasione di testimoniare al mondo dove conduca la follia dell'Amore. E' bastato poco più della sua presenza per stregare il cuore dei giovani: essi – gente dal palato fine in tema di contraffazioni – hanno scorto in lui l'uomo che addita ai grandi ideali senza per questo offrire facili scorciatoie: “sei protagonista della salita – ha ricordato Francesco ai ragazzi che sono stati vittima della droga – e nessuno può farla al posto tuo”. Li inchioda alle proprie responsabilità, non offre loro il facile guadagno dei pensieri comuni, li spinge e li costringe a cercare il meglio di loro stessi e in loro stessi; loro intuiscono la sua pedagogia di padre e di maestro, forse non condividono proprio tutto, ma sentono nel cuore che quelle parole – impreziosite da una voce che sale dai bassifondi della società – sono dure da contrastare e da smantellare. Forse aveva proprio ragione Pietro quando, libero di andarsene dalla sequela del Maestro, fu costretto a dirGli la verità: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Che è come dire: “dopo che ti ho conosciuto, scelgo te che sei la gioia. Non posso più accontentarmi delle piccole gioie”. Troppi dicono che oggi i giovani non hanno più voglia di sognare: Francesco, invece che lamentarsi, tende loro la mano e ad ognuno è come se dicesse “coraggio, puoi farcela!”. Con l'accredito d'infondere in loro quella passione della vita che è il biglietto da visita del Vangelo.
Conquista i giovani ed infastidisce gli adulti, vescovi compresi (“che brutta cosa un vescovo triste” - ha confidato ai giovani l'altra sera). Li infastidisce con eleganza, con quell'appeal amabile e sorridente di chi avverte di non aver rubato il posto a nessuno, ma di essere andato ad abitare spazi che il mondo adulto ha abbandonato. Infastidisce, forse, anche un certo modo di essere Chiesa: critica quella fede che è come un “frullato”, quei cristiani con le facce funebri, quel sorriso forzato tipico di chi immagina di avere un posto prenotato in Paradiso. Più che le parole a infastidire sono i suoi gesti: eclatanti perchè inediti, imbarazzanti perchè veri, tuonanti perchè silenziosi. Ad una Chiesa rattrappita nelle sacrestie getta addosso l'odore del gregge; ad una parrocchia chiusa in se stessa e nei suoi bans attacca addosso l'immagine faticosa della periferia; ad un cristianesimo abituato e sonnolento grida nelle orecchie “bota fè” (“metti la fede”). Ai salamelecchi di corte – o di sagrato – preferisce l'odore del crack addensato nella pelle dei giovani tossicodipendenti, alle vesti filettate preferisce di gran lunga le pelli sgualcite dei detenuti malmenati, al lusso degli episcopi ama di gran lunga la nuda povertà di una baracca della favela di Varginha. Alla teologia dei dotti – che rimane “dei dotti” e basta – ama il linguaggio semplice di chi, per spiegare l'ospitalità evangelica, dice: “si può sempre aggiungere acqua ai fagioli”. Un Papa fastidioso perchè di Dio.
Scrutavo l'imbarazzo nel volto di tanti vescovi in questi giorni; m'incuriosiva la stizza (ovviamente celata) di qualche prete; m'appassionava il commento di una certa chiesa. Su tutto, però, a stregarmi è lo stile di Francesco; di quell'uomo strappato alla “fine del mondo” per governare il mondo con lo stile di Dio. Fine della vecchia cristianità? Sicuramente di un certo cristianesimo.

(da
Il Mattino di Padova, 28 luglio 2013)

lunedì 8 luglio 2013

LA BARCA DI FRANCESCO, IL PROFUGO DI DIO



 
  Arriverà dal mare, scortato dalle barche degli isolani. Lui, Papa Francesco, come loro, profughi dalla pelle scottata dal sole e bruciata dalla salsedine del mare. Lui e loro, più gli altri: quei vecchi isolani di Lampedusa – la “porta” dimenticata e oltraggiata dell'Europa civile – che di padre in figlio, di generazione in generazione si tramandano quell'arcana virtù evangelica che è l'arte dell'ospitalità. E tutt'intorno il resto dell'isola, a fare da corona ad un gesto di altissimo valore simbolico: le motovedette della capitaneria, le vecchie donne che riassettano le reti da pesca, i volti straniti di chi è abituato all'oblio della storia. Troppi fin d'ora sono scesi nell'isola per farsi illuminare dalle telecamere e sfruttare l'angoscia di una terra martoriata: anche Francesco scenderà con tutte le telecamere del mondo addosso, ma la loro luce servirà per fare luce su questo mistero d'angoscia e di trepidazione che da anni abita la terra isolana.
Il mare che Francesco abiterà per qualche ora – a questo Papa bastano pochi minuti per scrivere pagine che spiazzano e interpellano, ndr – è un cimitero a cielo aperto: migliaia di profughi vi sono sepolti, frammenti di umanità disperata e dispersa, storie e avventure di genti cucinate nell'attesa di un porto nel quale attaccare l'àncora della speranza. Per il Papa argentino Lampedusa è una frontiera dell'umano, una di quelle frontiere che a più riprese e con urgenza invita la Chiesa ad abitare. E lui per abitarle rompe ogni protocollo, mette a repentaglio la sua incolumità, sembra sfidare pure lui le onde dell'imbarazzo e le tempeste degli ignavi: entra nel mare, sale su una barca e giunge a Lampedusa dalla parte del molo, la “porta d'ingresso” varcata e bagnata dalla disperazione dei profughi. Quasi a confermare che Cristo batte gli stessi sentieri dei poveri, che la Chiesa – se vuole essere la Sua chiesa – deve abitare quelle onde, non deve temere l'inedito di quel mare che arreca paura a chi non crede all'inimmaginabile di Dio. Sembra fare volentieri di testa sua il Papa: e questa è la garanzia più autentica di un uomo che sa di dover rispondere solo a Dio, a quel Dio ambizioso e paradossale che l'ha strappato alla periferia del mondo per farlo abitare al centro della cristianità, con il chiaro intento di re-insegnare il linguaggio evangelico della periferia. Nel più perfetto stile della Scrittura.
Non importa se il mondo sta alla finestra e guarda i profughi arrivare: Francesco non è l'uomo dei ritardi quanto quello degli anticipi. Si farà profugo tra i profughi, insudicerà la sua tonaca dell'odore acre del mare, c'è da giuraci che stringerà al petto qualche uomo o donna gettato dalla sorte alla ricerca della fortuna. Toccherà la terra isolana e, forte delle sue metafore quotidiane, saprà dire grazie ad una popolazione che, seppur stremata e in difficoltà, continua a fare dell'ospitalità il suo biglietto da visita al mondo. E' il Papa delle sorprese ma non delle improvvisazioni: scenderà a Lampedusa qualche giorno dopo la sua prima enciclica Lumen fidei (“la luce della fede”), quasi a far memoria che la fede – come ricordava Natalia Ginzburg – non è una bandiera da portarsi in gloria, ma una candela accesa che si porta in mano tra pioggia e vento in una notte d'inverno. Magari nella notte di un mare tempestoso.
Un Papa con le vestigia dei profughi: come incipit del suo ministero s'addossò le ferite di un popolo rinchiuso dietro le sbarre di un carcere. Subito dopo additò nell'odore del gregge la misura della fedeltà a Cristo di un pastore. Ci sono gesti che valgono più di mille parole, perchè specchio di un cuore innamorato e di un pensiero divino: di questi gesti papa Francesco è poeta, ispiratore e interprete. Perchè spinto da uno Sguardo capace di inabissarsi nei meandri più arditi della storia. Fino a lambire le sponde dell'isola più lontana.

(da Il Mattino di Padova, 7 luglio 2013)

martedì 2 luglio 2013

Semplice: un incendio e li bruciamo tutti! (omelia)




Come un atleta nel massimo dello sforzo: i tratti sfiorano la disumanizzazione, le ossa sbraitano vendetta, il cuore batte all'inverosimile. Eppure il senso della sfida lo abita così a fondo che decide di alzare il ritmo, intestardito nel giocarsi la sfida fino in fondo. E' il volto di Gesù di questa domenica: a muso duro, direzione Gerusalemme (liturgia della XIII^ domenica del tempo ordinario). Laddove Gerusalemme significa Pasqua; ma anche passione e Calvario, testamento e abbandono, solitudine e angoscia, attesa e promessa prima dell'aurora del mattino della prima Pasqua ebraica. Lungo la strada uomini e donne di ogni ceto e di ogni razza: per ognuno, forse, uno sguardo, un indirizzo di promessa, un invito. E ognuno di loro risponde a modo loro: con un cenno d'assenso, con un incoraggiamento, con un disappunto. Come quel manipolo di Samaritani ai quali erano stati mandati messaggeri per annunciare il passaggio ormai prossimo del Nazareno. Negativa fu la loro risposta: appena seppero la direzione calpestata – Gerusalemme, ovverosia la morte – ne vietarono il passaggio. Bastava essere loro menzogneri, confondere forse le carte, imbrogliarne i passi e sarebbe stato tutto più facile. Lo avevano intuito al volo i discepoli: loro, uomini non-più-uomini dal forte senso pratico, la risposta ce l'avevano già bella e pronta, mancava l'assenso del Maestro. “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? Neanche il minimo cenno di risposta da parte di Lui: troppo meschina la loro proposta al cospetto del suo senso di libertà: “si voltò e li rimproverò”. Punto e a capo: ieri, oggi, domani. Sotto la volta celeste c'è posto per tutti, non solo per quelli che accolgono al volo il senso di una chiamata. Non perchè pensano diverso da noi possiamo invocare fuochi e fiamme dal cielo per estinguerli: forte sarebbe il rischio di gettare anche del grano buono con la zizzania.

Mi si sono presentate alcune immagini per spiegare a me stesso quella verità che non hai saputo tradurre in parole ma la cui evidenza ti ha guidato. Allorché avviene il passo delle anitre selvatiche, all'e­poca delle migrazioni, provoca strane maree nei territori su cui transita, in alto. Le anitre domestiche, come attratte dal grande volo triangolare, abbozzano un balzo malde­stro.
Il richiamo selvatico ha destato in loro non so quali selvagge vestigia. Ed ecco le anitre della fattoria tramutate in un istante in uccelli migratori. Ecco che in quella testolina dura, in cui circolavano umili immagini di stagno, di vermi, di pollaio, si sviluppano le distese continentali, il sapore dei venti del largo e la geografia dei mari. La bestiola ignorava che il suo cervello fosse abbastanza vasto da contenere tante meraviglie; ma eccola battere le ali, disprezzare il grano, disprezzare i vermi e voler diventare anitra selvatica.
(A. de Saint-Exupéry, Terra degli uomini, Mursia, Milano 2013)

Tanto più che anche tra coloro che anelano alla sua sequela non sempre è chiaro il cuore delle loro scelte: “ti seguirò, ma attendi un attimo. Verrò con te, ma prima c'è quel campo. M'affascini, lascio tutto e ti seguo: attendi solo la sepoltura del padre mio”. C'è il fascino, manca la prontezza: forse non c'è molta dissomiglianza con il mondo di Samaria. E Lui, splendente come il sole, non illude sulla fatica, non dimezza le attese, non annacqua la trasparenza: “non ci sarà nido, non ci sarà tana per chi accetta di seguire Me e la mia follia d'essere Cristo”. Lo seppe Pietro, Giacomo e Giovanni: eravamo ai primordi della Chiesa nascente. Lo seppe Antonio, Francesco e Romualdo: eravamo secoli dopo l'avvento di Cristo. Lo sappiamo/sentiamo io, te e lui: siamo nell'oggi della sequela. Nulla è cambiato perchè Lui non cambia: c'è un subito, un qui e ora a fare la differenza in coloro che guerreggiano con la sua chiamata. Se sembra troppo, non importa: chiedilo al giovane ricco. Se sembra esagerato, non importa: chiedilo ai figli di Zebedeo e alla loro madre. Se è imprevedibile, non importa: chiedilo al buon ladrone del primo venerdì santo della storia. Non importa nulla, perchè ciò che importa è che Lui lascia liberi di seguirLo: liberi ma consapevoli che la strada è tutt'altro che quieta e in discesa. La Croce, il disprezzo e l'ignominia, l'abbandono e la solitudine: nulla verrà risparmiato a coloro che - senza tana e senza nido – faranno delle sfide del mondo il senso del loro vagabondare con Lui. Altra cosa sono le volpi e gli uccelli.
Che lo faccia per scoraggiare? O forse solo per mostrare che il suo è un messaggio per “alcuni” e non per tutti? O, magari, per mostrare la sua faccia da bello e dannato? Nulla di tutto questo, pensiamo: semplicemente l'altissima credibilità di un Uomo che - partito dal nascondimento di un retrobottega di carpentiere – ha scalato l'arroganza del mondo per fare luce sull'umiltà del Cielo. Laddove sarà anche vero che non ci sono né tane né nidi, ma vi abita il senso più splendido, quello che rende pienamente uomini: sposare una causa fino a darne la vita per amore. Ch'è diventato l'indigesto per un certo mondo.

giovedì 20 giugno 2013

QUEL PROFUMO CHE PIACE TANTO


 
Nel Vangelo di oggi, XI domenica del tempo ordinario - 16 giugno, c’è una vera e propria esplosione che mette al centro l’amore. Una donna ha molto amato. Questo basta.

Un Vangelo che ci provoca. La fede - come ci ha richiamato anche Papa Francesco in questa domenica - non è un intreccio complicato di dogmi e doveri.

Arriva una donna...non a mani vuote, non con un discorso di belle parole. Viene con quello che ha, con ciò che esprime amore, più che pentimento. Bagna i suoi piedi con le lacrime, li asciuga con i capelli, li profuma, li bacia. Sono gesti imprevisti, nuovi…ai quali Gesù non si sottrae, anzi, li apprezza. Bastava, come tanti altri, chiedere perdono. Perché questi gesti eccessivi?

Ogni gesto umano compiuto con tutto il cuore ci avvicina all'’assoluto di Dio.?

Gesù guarda al di là delle etichette: arriva una donna; gli altri vedono una peccatrice, lui vede una donna che vale più del peccato.

L’errore che hai commesso non annulla il bene compiuto. È il bene invece che cancella il male di ieri.

Questo Dio che ama il profumo e le carezze, mi commuove. Un solo gesto d’amore, anche muto e senza eco, è capace di profumare la tua storia e quella di chi ti incontra.

È la rivoluzione totale di Gesù, possibile a tutti, possibile ogni giorno.

domenica 2 giugno 2013

DARE TUTTO SE STESSO - Corpus Domini


 
Cinquemila uomini sono il motivo di tutto. Io sono uno di loro, mi riconosco nelle parole dell’evangelista Luca: “Gesù prese a parlare di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure”. C’è tutto l’uomo in queste parole; il suo nome: creatura-che-ha-bisogno. Bisogno di Dio e di cure, di pane e di assoluto.

La prima riga di questo vangelo la sento come la prima riga della mia vita: sono uno di quegli uomini, ho bisogno di cure, di qualcuno che si accorga di me, si prenda cura, guarisca la mia vita. Ho un desiderio inappagato e non so neppure di che cosa, ma so che niente lo potrà saziare.

…ma… il giorno sta finendo, bisogna pensare alle cose pratiche e gli apostoli intervengono: “Mandali via perché possano andare a cercarsi da mangiare”.

Ma Gesù non li manda via, non ha mai mandato via nessuno. Replica invece con un ordine che inverte la direzione del racconto: “Date loro voi stessi da mangiare”. Date. Eccezzionale!

Quando ho fame, Signore, manda sulla mia strada qualcuno da sfamare; quando ho bisogno, mandami qualcuno che abbia ancora più bisogno di me.

La fine della fame non è mai mangiare a sazietà da solo, ma è condividere il poco che hai, un po’ di tempo… un po’ di cuore.

Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato.

Ad ogni eucarestia è Dio che mi cerca e mi chiama. Dio in cammino verso di me.?Alla fame dell’uomo non è bastata la Parola di Dio. Dio ha dovuto dare la sua carne e il suo sangue.

Quando ci dà il suo Corpo vuole che la nostra fede si appoggi non su delle idee, ma su di una Persona, incontrandone storia, sentimenti, con il peso e il duro della croce. ?Quando ci dà il suo Sangue e il suo Corpo vuole anche farci attenti al sangue e al corpo dei fratelli perchè la legge dell’esistenza è il dono di sé. Come Cristo.

domenica 5 maggio 2013

A COLPI DI PASSIONE - VI domenica di Pasqua

Se uno mi ama…. Gesù vuole per sé il sentimento più importante e dirompente del mondo umano: l’amore e con delicatezza entra nel nostro intimo.
Tutto poggia sulla prima parola “se”. Un fondamento umile, libero, fragile, paziente. “Se mi ami osserverai la mia parola” e non esprime un comando, ma apre una possibilità; non un verbo all’imperativo, ma al futuro. Un verbo che bussa alla porta del cuore e attende: se ami, farai. E subito rovescia il nostro modo di pensare. Noi avremmo detto: se osservi la mia parola arriverai ad amarmi… E invece no, la Parola non coincide con i comandamenti, è molto di più. La Parola salva, illumina, traccia strade, consola, fa vivere. Solo se hai scoperto la bellezza di Cristo partirà la spinta a vivere il suo Vangelo. Perché la nostra vita non avanza per colpi di volontà ma per una passione. E la passione nasce da una bellezza; dalla Bellezza stessa che è Cristo.
E poi ancora: un Dio che ama la vicinanza e che abbrevia le distanze. E prenderemo dimora: in me il Dio Misericordioso senza casa cerca casa. Forse non troverà mai una vera dimora, solo un povero riparo. Ma Lui mi domanda di essere ospitale. Dio non si merita, si ospita.? Ma se non pensi a lui, se non lo ascolti nel segreto, forse non sei ancora casa di Dio.

domenica 31 marzo 2013

PASQUA COME PASSAGGIO DA ... A ...


 
Il testimone non è un semplice passa-parola ma è un passa-vita.

È un voltato-verso, è un rivolto al Volto del Risorto.

L’uomo, segnato dal male, incrocia “Dio in agguato” ad ogni svolta ed angolo della giornata. E così, l’uomo sfigurato viene chiamato ad essere l’uomo trasfigurato. Questa dinamica è una Pasqua - passaggio che deve incarnarsi anche nei piccolissimi gesti del quotidiano come passaggio:

  • dalla paura... al coraggio,
  • dall’individualismo... alla comunità,
  • dal pessimismo nero... all’ottimismo vero,
  • dall’evasione... alla condivisione,
  • dalla protesta sterile... all’impegno operoso,
  • dall’omertà... all’onestà, 
  • dal puro commuoversi... al vero muoversi,
  • dal servirsi degli altri... al servire gli altri,
  • dal farsi strada sui poveri... al fare protagonisti i poveri,
  • dall’io a Dio.

Ma prima, si sente interrogare da Lui come Pietro dopo la risurrezione sulla riva del lago: “Mi ami tu?” cioè: “Mi scegli tu ? Mi metti al centro della tua vita e dei tuoi progetti?” 

BUONA PASQUA
 
 

venerdì 29 marzo 2013

LA SOSTA CONSENTITA SUL CALVARIO


 
 
Un vibrante ed appassionato atto di fede di Mons. Tonino Bello.

Miei cari fratelli,

nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande Crocifisso di terracotta. L’ha donato, qualche anno fa uno scultore del luogo. Il Parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: “Collocazione provvisoria”. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il Parroco di non rimuovere per nessuna ragione il Crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la Croce. La mia, la tua croce, non solo quella del Cristo.

Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi il calice amaro dell’abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima, che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che credevi tuoi amici. Non angosciarti, tu che per un tracollo improvviso vedi i tuoi beni pignorati, i tuoi progetti in frantumi, le tue fatiche distrutte. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto ad ingoiare bocconi di amarezza. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che credevi tuoi amici. Non angosciarti, tu che per un tracollo improvviso vedi i tuoi beni pignorati, i tuoi progetti in frantumi. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sempre a terra. Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il Calvario, dove essa è piantata non è zona residenziale? E il terreno di questa collina dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce. C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo: “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo concesso al buio di infierire sulla terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva da Dio. Coraggio, fratello che soffri.